“Il cacciatore”, il senso di giustizia come riscatto sul senso di colpa

Andrea Desideri
Andrea Desideri

“Il cacciatore”, fortunata saga con Francesco Montanari nei panni del PM Saverio Barone, racconta la lotta alla mafia in modo più intimo.

Francesco Montanari, alias Saverio Barone (Getty Images)

Non è la mafia, neppure il crimine nella sua totalità, né tantomeno i meccanismi del malaffare vigenti nei primi anni ’90 – che ormai dovrebbero essere noti a tutti –, “Il cacciatore” mette in mostra la voglia di evasione. La via di fuga, che cercano i mafiosi e bramano i PM, tra un’efferatezza e l’altra. La serie vincitrice a Cannes con la Palma d’Oro, attraverso il trionfo indiscusso di Francesco Montanari, mette in evidenza quanto crimine e giustizia siano due facce della stessa medaglia: due aspetti dalla stessa consistenza deontologica. Le logiche di uno contaminano l’altro e viceversa. 

Per questo “Il cacciatore”, oltre all’accuratezza storica, la precisione nel racconto e la scrupolosità dei particolari, cura l’intreccio narrativo in maniera spasmodica ponendo l’accento su come i vari protagonisti – dell’una e l’altra faccia – cerchino qualcosa di diverso: un dettaglio che possa sancire quanto non sia, effettivamente, tutto deciso. Enzo Brusca si aggrappa agli alieni: un’altra razza che possa ripopolare il pianeta scacciando i fantasmi di questa. 

Un Barone contro la mafia: le sfumature del bene

La terza e ultima stagione della saga è in uscita (Getty Images)

Saverio Barone – Alfonso Sabella – pensa alla famiglia: agli aspetti quotidiani rubati, strappati via, da riprendere con gli interessi. Mazza aspetta la fine, ma un vero e proprio epilogo non arriva mai quando sei in credito di attese, momenti da vivere e gioie strozzate in gola. Quando la vita ti passa davanti e l’unica cosa che conta è la coscienza civile, in barba ai debiti d’ossigeno e alle mancanze della routine che torna a bussare alla porta come un’ospite indesiderata. 

Nessun giorno è uguale all’altro, pur essendo colmo di monotonia. “Il cacciatore” ripesca nella memoria storica attraverso i gesti, gli atteggiamenti, i dettagli di un’intimità celata che nella sua Democrazia – perché ce l’hanno sia gli uni che gli altri – non fa prigionieri: ognuno, nel bene e nel male, perde qualcosa non solo in termini di morte, ma in termini di vita. Una scampagnata, un bagno al mare, un bacio. Tutte cose alla portata che diventano impossibili nell’eterna lotta fra bene e male, giusto o sbagliato, i confini sempre più labili in un disegno man mano più ampio. 

Trattativa Stato-Mafia, il prezzo delle domande insolute

Si parla spesso di trattativa Stato-Mafia, Marengo però guarda oltre e prova a porre tutto su un altro piano: quello della dissoluzione. Ciascun interprete dissolve il proprio vissuto per guardare al di là del vivibile: l’universo delle possibilità si restringe. Quanto caro è il prezzo della concretezza? Gli ideali come fine ultimo, ma a che prezzo? Vale un abbraccio con tua moglie, una serata con tua figlia, una cena con l’amico di una vita? La risposta a queste domande si tratteggia lungo due serie con ritmi sempre alti e mai scontate. Storia, azione e suspense: tre aspetti che fanno vincente un progetto sulla programmazione e l’originalità nell’andare a scandagliare l’intimo, il privato, prima ancora che il consueto.

La terza serie – ultimo capitolo di una parabola storica nota, ma pur sempre accattivante – ripartirà da questo: le coscienze di giudici e mafiosi a confronto, proprio per cercare di instillare nello spettatore che il confine fra bene e male, corretto ed errato, è tanto marcato quanto assai labile. Marengo si addentra fra le cicatrici di ognuno per mettere in evidenza quanto costano le ferite ancora aperte di un Paese bisognoso di risposte che, forse, però, ha smesso di farsi le giuste domande.

Andrea Desideri
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