“Corro da te”, un’occasione sprecata: come sgonfiare su due ruote un capolavoro

Andrea Desideri
Andrea Desideri

“Corro da te”, l’ultimo film di Riccardo Milani finisce per essere un’occasione sprecata: il concetto di irriverenza e disabilità al cinema.

Il film è brutto. Non ci sono altri termini da poter usare, ma è possibile motivare (con cognizione e lucidità) questa situazione spiacevole che è l’ultimo lavoro di Riccardo Milani. Anzitutto non è il suo film: è il remake di un’opera francese (in Italiano tradotta con il titolo di comodo “Tutti in piedi”) che è una vera perla.

La bellezza di quell’opera è la mancanza di ipocrisia nel trattare un argomento dibattuto come le reazioni sociali applicate alla disabilità. Ci si aspetterebbe delicatezza, invece l’opera originale mostra irriverenza. Senza tarli, iperboli o ipertrofie. Non c’è la battuta forzata, il romanticismo stantio e soprattutto non ci sono quella pletora di luoghi comuni sulla diversità.

Il remake diventa una farsa: “Tutti in piedi” e l’ombra di Dubosc

Il regista Riccardo Milani e i due protagonisti del film (ANSA)

In Francia sono stronzi, e va bene così. In Italia siamo stronzi, ma facciamo quelli aperti. Quelli che sanno ridere e affrontare qualsiasi cosa con sfrontatezza quando, invece, resta solo una maschera che neanche siamo in grado di indossare. Miriam Leone ha dichiarato di aver lavorato al fianco di associazioni che gli “hanno insegnato a vivere la disabilità” (spoiler: non te lo può insegnare nessuno, semmai impari gli atteggiamenti ma non sempre è sinonimo di credibilità) e i dubbi restano.

Se una persona con disabilità si ponesse come ha fatto la Leone nell’arco del film, nessuno avrebbe la pensione. Quindi, se si cercava accuratezza rimpallando sull’associazionismo per giustificare certi atteggiamenti, l’obiettivo è fallito. Dato che si evince quanto non abbiano effettivamente lavorato al fianco di associazioni, perché se gli avessero dato certe direttive, sarebbero da chiudere immediatamente. Nessuno, ma proprio nessuno, con disabilità si muove o vive come la Leone nel film.

Pierfrancesco Favino a rischio caricatura: l’importanza del ruolo

Una scena del girato (Today.it)

Per non parlare poi della resa di Favino nel ruolo di corteggiatore e falso invalido (nel film usano handicappato credendo di essere divertenti: la verità è che la battuta è vecchia, perché se fosse una cosa innovativa e satirica sul serio, il politicamente corretto passerebbe in secondo piano): strilla sempre, anche quando non serve, dialetto abusato per far capire velatamente che i paraculi sono solo i “coatti” senza scrupoli e umorismo pecoreccio (che andrebbe anche bene) disposto senza alcun criterio.

Momenti di eccessivo imbarazzo alternati alla più insopportabile banalità mascherata da profondità. Tutto per portare le persone al cinema. Va bene tutto, ma sentir dire Favino: “Abbiamo cercato di rendere un altro punto di vista con la maggior trasparenza possibile. Senza approcci pietistici” è troppo.

È vero, gli approcci pietistici non ci sono. È il film a fare pietà. Basta fare – come hanno già fatto in molti – un confronto con l’opera originale. PS. Favino vive di rendita perché le sue competenze e la bravura gli permettono anche qualche scivolone, ma occhio. Siamo al secondo ruolo sbagliato in pochi anni. Dopo Muccino – “Gli anni più belli” – Milani. Al terzo scatta il reset. Come con il pin del telefono.

Una cosa giusta l’ha detta: “La pandemia ha dimostrato che non c’è più spazio per la mediocrità”. Ora deve solo ricordarselo, magari riguardando questo film.

Andrea Desideri
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