La Sanità pubblica sta attraversando il suo peggior momento del passato recente: il Governo Meloni nell’era della privatizzazione.
Tre anni fa venivano omaggiati con il saluto militare, definiti eroi e rispecchiavano le speranze (ultime) di una parte di Paese desiderosa di domani. Dopo più di mille giorni il futuro rischia di diventare stantio per centinaia di migliaia tra medici e infermieri che, in Italia, non smettono di chiedere tutela e considerazione: non si tratta soltanto delle aggressioni che il personale medico deve subire all’ordine del giorno da sovversivi e scettici di ogni tipo, è anche (e soprattutto) una questione di contratti che mancano e garanzie che latitano.
Tutto questo è stato ribadito – ancora una volta – il 24 giugno a Piazza del Popolo in una manifestazione indetta dalla CGIL in difesa del Servizio Sanitario Nazionale. Evento che ha registrato l’adesione di migliaia di associazioni. I numeri sono la forza del dissenso, specialmente quando le cifre fotografano un’incertezza che non accenna ad arrestarsi: liste d’attesa lunghissime, Pronti Soccorsi affollati e assenza di medici di Medicina Generale.
Questo il quadro di partenza – che sottintende molto altro – con cui fare i conti. Una situazione fatiscente che vede come segnale allarmante il deserto all’interno del settore pubblico, causato principalmente dal sotto- finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale che lascia interi settori a sé stessi: dall’assistenza agli anziani, fino alla Salute Mentale, passando per il sostegno alle persone con disabilità.
I numeri di quest’ecatombe partono dalla spesa (esigua) che lo Stato Italiano intraprende in termini di Sanità: 126 miliardi, il 6,4% del Prodotto Interno Lordo. Cifre distanti da Francia e Germania, Paesi che spendono per la Sanità circa il 10%. Lo Stivale per andare in pari con la tendenza europea dovrebbe spendere – almeno – altri 20 miliardi. In tal caso eguaglierebbe Regno Unito e Portogallo.
40 miliardi, invece, sono il capitale necessario per arrivare ai livelli di Macron e Steinmeier. Giorgia Meloni, dal suo insediamento a Palazzo Chigi, ha promesso che avrebbe invertito la tendenza del passato. Attraverso il Sottosegretario al Ministero della Salute, Marcello Gemmato, ci ha tenuto a precisare: “L’Italia è una fervente sostenitrice della Sanità Pubblica” donando, poi, appena 2 miliardi di euro in più.
Attenendosi alle stime degli ultimi vent’anni, perchè la croce – giusto per rimanere in tema – della Sanità non la porta soltanto la Meloni. Il Primo Ministro italiano, semmai, ha il riconoscimento (anche se è difficile dire se questa sia una “bandierina” di cui fregiarsi) dell’aver privatizzato la Salute Pubblica. Infatti, stando alle recenti stime pubblicate da L’Espresso, gli italiani spendono di tasca propria ben 41 miliardi per sottoporsi alle cure di routine.
Un record mondiale tra i Paesi industrializzati. Costi ai quali vanno aggiunte determinate percentuali che rendono ogni aspetto inequivocabile: 9,6 miliardi impiegati dalle famiglie per assistere i propri figli con disabilità, a causa delle tutele previdenziali ai minimi termini (aspetto questo che non ha attraversato solo la Legislatura corrente) e i 9,1 miliardi destinati all’INPS che, sotto forma di assegni di accompagnamento, alimentano il mercato privato di collaboratori domestici e assistenti agli anziani. Altrimenti noti come badanti. Un totale di 2200 euro all’anno per famiglia destinati alle cure, tra cui il 40% dello stipendio per quasi il 10% dei nuclei familiari presenti sul territorio.
Dati che fanno suonare un campanello d’allarme rispetto all’incidenza della spesa sanitaria sul PIL, di oltre un punto e mezzo sotto rispetto al 2022. Ulteriormente al ribasso rispetto ai livelli pre-pandemici. Mario Del Vecchio – Professore Universitario alla Bocconi di Milano – traccia un’analisi spietata: “Con le scarse risorse a disposizione, il Servizio Sanitario Nazionale non può offrire una tutela universale. Nella migliore delle ipotesi – afferma ancora Del Vecchio – non escludo una collaborazione tra pubblico e privato con una forte diseguaglianza tra l’uno e l’altro”.
A incidere, nello specifico, sono due fattori: l’attesa e la tempestività. Chi richiede una cura, di qualsiasi tipo, nel pubblico deve scontrarsi con tempi biblici di liste d’attesa (dovuti anche alla mancanza di personale). Nel privato no, perchè ci sono più introiti e maggiori spese. Non tutti possono permettersi certe tariffe. Un bivio che alimenta soltanto rassegnazione e turbamento, suffragato dal 75% delle visite specialistiche che gli italiani sono costretti a pagare di tasca propria se vogliono avere una risposta accettabile e tempestiva rispetto alla propria condizione.
🟥 “Siamo in piazza perché vogliamo difendere il diritto alla #salute, anche sul lavoro. Basta tagli, abbiamo bisogno di investire”. #MaurizioLandini dal palco in piazza del Popolo
— CGIL Nazionale (@cgilnazionale) June 24, 2023
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Una sorta di ultimatum perenne che, in molti, non vogliono più sostenere: “Ci sentiamo di proclamare noi – ha dichiarato Anna Lisa Mandorino di CittadinanzAttiva – questa volta lo Stato di emergenza sanitaria che scioglieremo quando avremo la prova concreta che determinate scelte politiche stiano andando nella direzione giusta”. Quella di una Sanità possibile, senza nessun impedimento e soprattutto priva di ostacoli da superare. Il primo, spesso, è nel portafogli.
© Andrea Desideri. Tutti i diritti riservati.
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