Avete mai fatto caso che durante gli addii c’è sempre qualcuno che non guarda? Tra fidanzati, amanti, e amate che non corrispondono, il momento di un addio è sempre traumatico. Non importa se in mezzo alle porte di un treno che si stanno chiudendo o tra le porte di un campo da calcio. In ogni caso, c’è sempre qualcuno che, mentre vede l’altra persona allontanarsi, per il troppo dolore evita di guardarla negli occhi. Stacca lo sguardo all’ultimo, fa finta di focalizzarsi su altri particolari. Anche con Totti è stato così: per mesi si è parlato di tutto, festa, celebrazioni, saluti, panchine e mancati ingressi e nessuno pienamente si rendeva conto che non l’avremo più rivisto giocare con quella maglia. Forse neanche lui.
Infatti, oggi, se si guardava il volto di Francesco, era sfuggente, scontroso e cupo come mai durante quest’anno. Perché anche lui sa che, ora, è davvero finita; sipario chiuso, scarpini al chiodo (forse) e i colpi di tacco, i cucchiai, le magie saranno solo bei ricordi. Già, il ricordo, è quello che ti fotte: pensare che hai fatto la storia e vorresti ancora farne parte. Rivivere solo un istante, inamovibile, di quell’epoca. Quel periodo che sembrava eterno. Questa sera se ne va una leggenda del calcio, ma soprattutto un uomo che pur essendo ricco e appagato, è comunque un essere umano con dei sentimenti e una sensibilità che voi (alcuni, troppi), tifosi presunti e manager dell’ultima ora dal divano di casa, avete ferito.
Mentre gli altri stadi lo applaudivano, all’ombra del Colosseo avete coniato termini ingiusti, tipo Tottismo, lo avete definito una disgrazia, un peso, un morto in campo, un irrispettoso, avete paragonato la fine della sua carriera ad un’agonia. L’avete tacciato di egoismo, senza capire che la sua rabbia era soprattutto con sé stesso per non poter più contribuire attivamente ad un amore. Quello per la Roma. Esattamente come quando si ama una donna talmente tanto, ma si è costretti – per forza di cose – a guardarla da lontano. Perché, come canta Ligabue, non è tempo per noi. Non lo è più, purtroppo.
Ed anche se bisogna accettarlo, se la Roma resta e i giocatori passano, fa male. E chi non comprende il dolore e lo smarrimento altrui è il primo ad aver perso. Umanamente e, poi, in quanto tifoso. Come quando la donna amata da tempo immemore e a cui hai dedicato gli anni migliori prosegue la sua corsa con un altro, dicendoti che non è più cosa, che non potete vedervi più come prima, che è meglio se passa oltre. Mentre partorisce questa sentenza definitiva, arriva sempre quell’amico saccente con quel sorriso inutile dalle retrovie che, invece di tenderti una mano, con una pacca sulla spalla, rincara la dose: “Lo vedi che sei ‘n cojone?! Te ne dovevi andà prima, non ridurti fino a questo punto. Dovevi capirlo che sarebbe andata così, stronzo!”.
C’è sempre chi crede di saperne di più e lo fa capire nel peggiore dei modi, nel calcio e nella vita. Che poi sono la stessa cosa, per chi ci crede. Basterebbe solo cercare di comprendere che il tifo, così come il sentimento, non prevede ragionamenti, calcoli o congetture ponderate, ma solo passione. Quella che è mancata troppo spesso, a Roma, negli ultimi tempi. Non da tutti, nemmeno da pochi.
Francè, forza Roma. Magari adesso ci si vede allo stadio, in tribuna, e ci convinceremo che sarà meglio trovarti altrove piuttosto che in maglietta e pantaloncini. Perché tanto, tu, come tanti (mai abbastanza), quei colori ce li hai cuciti addosso. A prescindere.
© Andrea Desideri. Tutti i diritti riservati.
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