Salmo, all’anagrafe Maurizio Pisciottu, è l’esempio di come l’Hip Hop possa mantenersi credibile nonostante sia divenuto eccessivamente mainstrem. La popolarità, il consenso, il successo non è un difetto: dipende da come si spende. Essere influenti, non influencer, significa incidere sulle scelte di una collettività: dettare legge, lanciare mode, creare trend, non solo dal punto di vista discografico, vuol dire assumersi anche delle responsabilità.
Ciò che siamo, quando diventiamo famosi, può sfociare in un esempio da emulare e, quindi, il cantautore deve (o dovrebbe) sporcarsi le mani: comunicare una visione, la propria prospettiva, del mondo che lo circonda sottolineandone pregi e difetti. E Salmo questo non ha mai smesso di farlo, malgrado la fama, malgrado il guadagno. Infatti non sbaglia un album dal 2011, quando ha pubblicato il suo primo disco in studio (The Island Chainsaw Massacre). Salmo, però, non è un cantautore: è un maestro di cerimonie, in America li chiamano MC. Uno che te le canta e te le suona, se necessario, a colpi di rime e retorica. “Playlist”, il suo ultimo lavoro, è un concentrato di tutto questo.
Ascoltandolo, sembra di tornare a fine anni Novanta: un volo concettuale che mescola classico e moderno, con altrettante sonorità che spostano vorticosamente l’attenzione verso altri luoghi. Del resto, lui avvisa: “Sedetevi comodi, sta cominciando lo show, è come volare in economy senza le buste del vomito”, perché – infatti – non servono. “Playlist” è un manifesto annunciato, senza alcuna pretesa rispecchia l’uomo prima che l’artista. Quel Maurizio scomodo e piuttosto verace che abbiamo imparato a conoscere trasversalmente. Si vola, dicevamo. Si toccano vette altissime per poi scendere di nuovo giù in picchiata.
Molti testi, altrettante canzoni: tredici. Un numero fortunato, ma Salmo non ha bisogno di fortuna. Se la crea, scalando classifiche, scavando solchi nell’anima di chi lo ascolta. Senza risparmiare qualche nota dolente; si parla d’Italia, di politica (non troppo) e di società: “Aprono i conti ma chiudono i porti. Rubano i soldi, impossibile opporsi. La gente sorrida coi tagli sui polsi, eh”.
Un concentrato di verità urlate rispecchia la morale fittizia che circola nello Stivale: “Voi non siete milionari, non siete Gerry Scotti. Non siete Travis Scott, sembrate tre biscotti. Pistole ad acqua nascoste nei giubbotti. La vita, sì, è infame ma è meglio di Brumotti”. Inoltre, c’è anche un po’ di satira pungente: Pisciottu non perde occasione, infatti, per rimarcare il clima d’odio che si sta creando a livello politico e sociale: aveva già avuto una diatriba a mezzo stampa con il Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che esplica ulteriormente nel disco.
In ogni caso, “Playlist” somiglia ad una giostra del luna park sempre in movimento, in grado di provocare vertigini e sconquasso con abilità e maestria. Molte, poi, sono le collaborazioni importanti: spiccano i nomi di Fabri Fibra, Nitro, Coez. Si aggiungono volti noti della trap, come Sfera Ebbasta perché – nel Rap e nella vita – un’opportunità non si nega a nessuno: “Tutti commentano, è un loro diritto. Coi primi quattro dischi c’ho pagato l’affitto; se non ti piace la mia roba, io l’accetto. Dammi un milione e smetto, oppure stai zitto”. Finché farà dischi del genere, siamo disposti a seguire il consiglio alla lettera: muti, in religioso silenzio, in attesa della prossima canzone.
© Andrea Desideri. Tutti i diritti riservati.
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