Giancarlo Giannini, simbolo del nostro tempo ma anche certezza di un passato che ha tracciato il solco per la recitazione post-moderna.
Doveva andare a fare il ricercatore in Brasile, poi ha preso un treno per Roma e la sua vita è cambiata per sempre. L’esistenza è un insieme di treni che passano: la differenza sta nel saper cogliere quelli giusti, con Giancarlo Giannini è possibile affermare quanto sia vero. Un diploma da perito elettronico in mano, rimettere in discussione tutto per un salto nel buio: l’Accademia di Arte Drammatica. Via Condotti dopo Piazza del Plebiscito, per lui che è di La Spezia, significava cambiare ancora. In nome dei sogni. Proprio quello che oggi sconsigliano di fare, cercando il “porto sicuro”.
Giannini la propria àncora riesce a rintracciarla in Beppe Menegatti, che gli affida la parte del folletto Puck in “Sogno di una notte di mezza estate”. Shakespeare porta bene a un giovane di belle speranze. La gioventù pesa meno anche grazie a Franco Zeffirelli che prima lo vuole in “Romeo e Giulietta” e poi lo chiama nuovamente per “La lupa”, insieme ad Anna Magnani. È un segno del destino: i grandi lo notano e lui fa di tutto per mettersi in mostra. Recita, balla, canta e impara i dialetti.
Facile se sin da subito inizi a girare l’Italia in lungo e in largo. Un uomo tutto d’un pezzo: carattere forgiato da mille esperienze che gli hanno portato poche, ma fondamentali, consapevolezze. “In scena si arriva sempre preparati, a un provino o audizione sempre eleganti. La cravatta è un segno di rispetto”. La stessa convinzione granitica Giannini la conserva nei metodi: “Nessuno entra ed esce dal personaggio. Io invento, lo spettacolo è divertimento. Io amo giocare con i caratteri e prendere sempre qualcosa da loro”.
La medesima abnegazione è presente nel cinema, dove Giancarlo Giannini ha raccolto maggior successo a partire dal 1965, quando esordisce nel film “Libido” diretto da Ernesto Gastaldi e Vittorio Salerno. Poco dopo, 23enne dagli atteggiamenti veterani, lo chiama Anton Giulio Majano che gli affida il primo ruolo da protagonista nello sceneggiato “David Copperfield”. Riadattamento del romanzo di Dickens. L’incontro con il regista abruzzese non è casuale: lo dirigerà qualche anno dopo (1971) in “E le stelle stanno a guardare”. Quella di Giannini, di stella, dev’essere buona sicuramente perché gli consente di incontrare la donna che artisticamente gli cambierà la vita: Lina Wertmuller.
Dal 1966 è amore a prima vista: la donna lo ritiene l’ispiratore perfetto per ogni tipo di personaggio. Una maschera calzante e assolutamente intensa e profonda. Inizia tutto con il musicarello “Rita la zanzara”, al suo fianco Rita Pavone che, negli stessi anni, avrebbe bucato lo schermo con le canzoni e qualche altra interpretazione iconica. Giannini prosegue su quel versante, con Wertmuller arrivano anche “Non stuzzicate la zanzara”, “Pasqualino Settebellezze” e “Mimì metallurgico ferito nell’onore”. Oltre a “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto”.
La particolarità di questi lavori è il desiderio di spingere l’attore a trovare una sorta di figura scavata, profonda, sagace e pungente che colpirà anche Ettore Scola. Il regista lo vuole, con determinazione e successiva gratitudine, in “Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca)”. Sequenza di film che apre definitivamente le porte della settima arte all’interprete. Non è più una sorpresa. Essere conferma, però, impone delle scelte. Meno televisione, più cinema. Quello ben fatto: “A Lina devo tutto – disse – non voglio sprecare l’occasione che mi ha dato”. Tanto lavoro, ma selezionato. Mantra che continua ad esserci.
Sul piccolo schermo viene ricordato, fra le altre cose, per l’interpretazione di una figura iconica come quella del Generale Dalla Chiesa. Docufilm diretto da Giorgio Capitani. Opera da cui prese spunto, per quanto riguarda lo studio del personaggio, anche Sergio Castellitto che interpreta lo stesso simbolo italiano ma viene diretto da Lucio Pellegrini e Andrea Jublin (2022).
34 le apparizioni totali in tv, tra film e documentari: si registra la passione per le indagini di qualunque ambito. “Mi sono trovato molto bene – racconta a La Repubblica – a lavorare con Alberto Angela. I documentari li amo molto perchè devi abituarti a cercare quello che non si vede. Un po’ come succede sul set”. Aneddoti cari anche a Francesca Archibugi, Giannini ha dato corpo al suo “Romanzo famigliare”, e Fabio Resinaro. Quest’ultimo ha diretto con Nico Marzano “Il grande gioco”. Una vera e propria epopea sul calciomercato raccontata da Sky Cinema.
Giannini veste i panni di Dino De Gregorio, procuratore senza scrupoli pronto a tutto per salvare la propria azienda. All’età di 80 anni, Giancarlo Giannini si rimette in discussione con un ruolo amaro, che scava nell’anima, anche un pizzico tormentato: “Per me – confessa ai microfoni di Repubblica – Il grande gioco non è un film sportivo, rappresenta una tragedia familiare”.
L’interprete ha la forza di portare le cicatrici del personaggio con eleganza e sfrontatezza: peculiarità affatto scontate con l’andare del tempo. Non perchè l’attore perda il proprio talento, ma perchè fare i conti con l’anzianità – del personaggio – non è mai facile: ogni suggestione viene amplificata in nome della resa. Gli anziani al cinema sono uno specchio in cui riflettere o riflettersi, a seconda di casi e prospettiva.
Giannini riesce ancora a restituire una mappa di emozioni che tratteggia il sentiero dell’opera. Chi voleva che smettesse dovrà accontentarsi della risposta che De Gregorio dà a suo figlio Domenico: “Non è ancora il momento”. Il perchè – se non bastasse il palmares e la competenza – è possibile rintracciarlo nelle parole di Spielberg. Il regista lo voleva ne “I predatori dell’arca perduta”: “Il cinema italiano ha ispirato il mondo”. Certezza che ancora non può suonare come un saluto, quando fra i principali ispiratori c’è ancora il tuo nome. Giannini deve continuare ad essere garanzia, prima ancora di ricordo.
© Andrea Desideri. Tutti i diritti riservati.
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