Dietro le (s)barre: il Rap italiano imprigionato nel marketing

Andrea Desideri
Andrea Desideri

Il Rap italiano cambia volto, canoni e stilemi. Le esigenze di marketing sembrano aver minato una cultura: cosa è successo.

Questione di gusti, ma anche di situazioni. Chi è abituato a vedere il Rap in un certo modo, come quell’elemento cardine di una cultura nata principalmente per il riscatto dall’emarginazione sociale – l’Hip Hop – fa fatica a concepire qualsiasi tipo di evoluzione abbia preso questo fenomeno in Italia e non solo. Se in America possono, in teoria, giustificarsi (ammesso che ce ne sia bisogno) per la deriva consumistica che tutto questo movimento ha preso dato che l’hanno portato – con rischi, oneri e onori – alla ribalta loro, in Italia occorre un attimo premere il freno a mano.

Cercare di capire a che punto siamo arrivati e perchè. Il Rap italiano non è più una nicchia (per fortuna) e consente a tutti di esprimersi (che poi è uno dei motivi principali per cui è nato). La componente economica ha, secondo gli integralisti, minato quel romanticismo iniziale macchiando qualcosa che sembrava impalpabile e puro. Non contaminato. L’illusione vera e propria finisce – negli USA – con la vicenda legata a Tupac Amaru Shakur e Notorious B.I.G. Non solo musica, ma anche cronaca, illeciti e soldi sporchi di sangue a cui manca ancora una giustificazione.

L’Hip Hop italiano: un’esigenza a stelle e strisce

Neffa e J-Ax

In Italia non ci sono – almeno all’apparenza – pagine scabrose tanto quanto quelle americane, ma esistono personalità che hanno portato alla ribalta nello Stivale determinate tendenze. I più conosciuti sono, senz’altro, Fabri Fibra, Articolo 31, Neffa (inizialmente con i Sangue Misto, poi da solo) Primo Brown e Lorenzo Jovanotti. Il primo Jovanotti: immediatamente dopo esperimenti come “La mia moto” e altre canzoni che non hanno avuto lo stesso impatto di “Serenata Rap” o “Positivo” che dirlo oggi sembra quasi un insulto.

Tra questa pletora di personaggi, sicuramente Tarducci (Fibra) si è distinto perchè ha portato il Rap italiano a un altro livello: un vero e proprio flusso di coscienza che scardina malesseri interiori mettendoli in rima. Progetti come Mr. Simpatia o Tradimento restano pietre miliari del contesto musicale in cui oggi tutti (o quasi) vorrebbero inserirsi. Fabri Fibra, nello specifico, è il primo che ce l’ha fatta a fare i soldi veri – come dice lui nella sua biografia ufficiale “Lo spettro” – con il Rap. Ha portato l’Hip Hop italiano altrove. Sono subentrati i guadagni, c’erano anche prima, ma con lui hanno messo piede a palazzo.

Le etichette discografiche cominciavano a interessarsi di questo fenomeno che prendeva piede esponenzialmente nella Penisola, con centro nevralgico Senigallia, scritturando artisti per l’epoca sconosciuti: Shezan Il Ragio, Neffa, Nesli (fratello di Tarducci). Tutti figli della “stessa rabbia”. Poi gli introiti hanno ceduto il passo agli stimoli, per questo uno dei primi a lasciare l’ambiente fu l’ex DJ dei Sangue Misto mettendosi a fare il cantautore Pop. Fibra prosegue per un periodo abbastanza lungo con le basi lasciate in “eredità” dal collega, si legge ancora ne “Lo spettro”.

L’importanza del dissing

Importante, però, è la modalità con cui Neffa saluta tutti: se ne va dalla scena in maniera disillusa, continua a fare il cantautore, ma è come se avesse perso qualcosa. Come se il mondo gli stesse cambiando sotto i piedi: “Non è più lo stesso”, ammette. Bisogna fidarsi. Dal Duemila in poi il Rap prende sempre più piede in Italia con generazioni di “fenomeni” che si alternano: da Clementino a Fedez, passando per Jake La Furia, Guè Pequeno, Turi, Piotta, CostaNostra, Shade. Ogni regione d’Italia ha la sua scuola di pensiero e atteggiamento che si riflette nelle canzoni e nei dissing.

Nel Rap, come nell’Hip Hop, va ricordato, di base non c’è violenza (vallo a spiegare a Tupac e Biggie, anche se si tratta di un capitolo complesso che andrà affrontato): si combatte con la tecnica, in base allo stile, alle parole, alla danza, all’estro artistico. Il dissing – nello specifico – è una tenzone fra due cantautori che si “insultano” vicendevolmente attraverso delle composizioni (scritte o improvvisate) fino a che non si decreta un vincitore: così funziona nelle Battle di freestyle, dove tutto è improvvisato e conta solo chi ha più creatività. Questa situazione si è succeduta anche negli album, esistono in Italia e in America interi dischi dove alcuni artisti si insultano fra loro per diversi motivi. Attriti che avevano una logica e anche un senso.

J-Ax e Fedez: più forte, ragazzi

Succede ancora oggi, meno perchè la “guerra” – anche dialettica – non fa bene a nessuno: l’ultimo in ordine di tempo (anche il più celebre) è quello andato in scena tra Fedez e J-Ax: si mettono insieme nel 2016 per una collaborazione artistica, fondano Newtopia (etichetta discografica), vendono milioni di dischi e arrivano a riempire San Siro. Fin quando, nel 2018, J-Ax tradisce Fedez con un tiro mancino che ha del clamoroso.

L’ex Articolo 31 passa a un’altra casa discografica, senza dire niente al collega, portandosi via tutto. Di nascosto. Lo ha avvisato soltanto dopo l’ultima esibizione che hanno fatto insieme (la più grande). Passano 4 anni e Fedez nel frattempo scrive, canta, fa figli e trova il tempo persino per curarsi da un tumore. Quella ferita – con Ax – è ancora aperta: è andato in analisi, racconta a Peter Gomez durante il programma “La confessione”. Aleotti gli aveva addirittura – si apprende nell’intervista – messo contro la madre-manager: a Federico Lucia crolla il mondo addosso.

Fedez, al secolo Federico Lucia

Decide, dopo anni e insulti a mezza bocca, di chiarire e sotterrare l’ascia di guerra: “È arrivato il momento di diventare grandi”, ammette. Ax e Fedez sono di nuovo insieme e ripartono da un evento benefico a Milano, poi sarà ancora sodalizio: presto altre canzoni insieme. Anche se dicono di no. Basta guerra, basta dissing, in nome della serenità (o delle vendite?).

Il dubbio sorge spontaneo perchè – alla luce di quanto raccontato finora – Fedez ha accusato più la ferita inferta da Ax artisticamente che altri traumi vissuti nell’arco di 32 anni. È sufficiente un incontro (durato 7 ore, raccontano) per far finta che non sia successo nulla? Di mezzo la malattia di Lucia, ma – a maggior ragione – quando stai male non dovresti pensare solo a chi arricchisce emotivamente la tua vita?

Scatti di Rap

Domande aperte che resteranno in sospeso, ma i dubbi vengono quando persino uno coerente come Fibra decide di mettersi a fare l’asceta e perdona uno come Grido dopo che se le sono date – dialetticamente – di santa ragione a suon di “Mi sta sul c****o lui, i gemelli, il cugino”. Non proprio roba qualunque: canzoni come armi e ora l’unica risposta è la pace. Ben venga, l’importante però che non diventi solo un fine per alimentare un bene di consumo.

Dietro le barre c’è di più, va dimostrato affinché continui a passare un giusto messaggio: la dialettica resta migliore della fisicità, ma ogni confronto si chiude – eventualmente – solo quando è (davvero) tutto risolto. Altrimenti è buon viso a cattivo gioco. E il gioco dell’Hip Hop è sempre stato pulito. O almeno così piace pensarlo, anche se i fatti – oggi come negli anni ’80 – sono pronti a smentire ogni consapevolezza. Persino questo si può chiamare evoluzione, ma forse per le rivoluzioni non c’è più tempo.

Andrea Desideri
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