ZeroCalcare riparte da “Questo mondo non mi renderà cattivo”, perchè la serie mette a nudo una quantità di nervi scoperti del nostro tempo.
“Questo mondo non mi renderà cattivo” potrebbe già essere una rivoluzione anche solo pensarlo, figuriamoci che succede a crederci davvero. Ha provato a dimostrarlo ZeroCalcare, all’anagrafe Michele Rech, che con la sua nuova serie Netflix torna a emozionare i fan. Il fumettista usa le sue storie per lasciare un messaggio prima a sé stesso e poi agli altri: i lavori che propone non hanno un valore didascalico e rifuggono dalla retorica, ma forse insegnano a vivere più di qualunque monito.
Calcare non è altro che la proiezione di un uomo adulto nel mondo di oggi, con relativi spaesamenti e una perenne assenza di riferimenti. Non per forza sul piano culturale, dove anzi Rech eccelle e lo dimostra ogni volta, anche se ostenta volutamente il romano e una perenne paura di sbagliare malgrado il successo dimostri come – anche nel mondo della Settima Arte – ormai si muova come un veterano.
Il prodotto, stavolta, parla di una nuova tematica delicata: in “Strappare lungo i bordi” si affrontava – tra pathos, umorismo e profondità d’animo – l’aspetto del suicidio e della depressione, ora si cerca di alzare ulteriormente l’asticella parlando di tossicodipendenza. Il protagonista della storia è Cesare che, nell’arco di 6 episodi da mezz’ora l’uno, racconta attraverso il proprio vissuto una metamorfosi. Dalla strada alla comunità con cicatrici, lividi e cadute che arrivano non solo in senso metaforico.
Il pregio di Rech è quello di affrontare qualsiasi problema di petto e senza sconti, ma soprattutto senza quel pregiudizio latente che rende tutto più artefatto e meno genuino. Quindi poco credibile. ZeroCalcare fa capire, attraverso esperienze ed estratti di vita, che la metamorfosi caratteriale e umana non avviene solo al cospetto di una dipendenza. La droga è un piano della serie, gli altri vengono strutturati in maniera speculare: oltre allo sgretolamento di Cesare – protagonista aggiunto – c’è il cambiamento e l’auto sabotaggio iniziale degli altri personaggi.
Ugualmente smarriti per ragioni diverse: la paura del futuro e la volontà di dare seguito ai propri principi. La differenza è sostanziale: chi è schiavo di una dipendenza – secondo l’uso comune – non ha un’etica. Invece Calcare ci fa capire che chi non ha saputo uscire da un vicolo cieco – come può essere la droga o qualsiasi altra situazione castrante – con i propri ideali ci fa a botte. Ogni giorno si sveglia in un corpo che non è il suo e da cui vorrebbe scappare: in questa costante lotta con sé stessi vince chi – nonostante tutto – resta in piedi con il supporto di chi ha la forza di ascoltare senza giudicare.
Oggi sono sempre meno quelli disposti a farlo: tutti pronti a costruirsi una morale standardizzata che finisce per diventare una prigione. Sbarre in cui non soccombe solo un tossico, ma anche chi semplicemente – e per altri motivi – non riesce più a vedere una via d’uscita. “Questo mondo non mi renderà cattivo” coltiva il valore delle sfumature e lo mette in primo piano con la semplicità di chi ha vissuto a un passo dal baratro e forse è riuscito a uscirne, come dimostra il finale della serie che risulta – in qualche maniera – catartico.
C’è sempre una via d’uscita, dalle dipendenze e dai bagagli di rancore che attanagliano come una qualsiasi droga. Circondano senza un perché fino a riempire le giornate, con l’illusione che scagliarsi contro qualcosa o qualcuno solo perchè diverso da noi sia la soluzione migliore. Anche questa è una forma di dipendenza che dobbiamo cercare di debellare: quasi nessuno ci riesce davvero, forse perché fa comodo così.
LO SO ancora non ce se capisce niente, ma almeno c'è la data. pic.twitter.com/Lrb2uphPus
— zerocalcare (@zerocalcare) April 5, 2023
L’unica salvezza è guardare altrove piuttosto che guardarsi dentro. Calcare ci avvisa con un cartone animato, che parla di rivoluzione, umanità, idee e ripartenza. Non dal Covid – che viene affrontato in maniera secondaria, quasi di passaggio, come fosse una sfumatura – ma dalla quotidianità senza prospettiva che, all’occorrenza, può far più male di qualunque sostanza.
© Andrea Desideri. Tutti i diritti riservati.
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